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Consigli per chi si trasferisce all’estero : affrontare lo shock culturale

di Cinzia Dal Brolo
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Quando ci si trasferisce all’estero per motivi professionali e non semplicemente per turismo, anche solo per pochi mesi, ma soprattutto se in via definitiva, è facile trovarsi in una condizione psicologica particolare, legata al nostro essere lontani da casa. 

E’ altrettanto vero che trasferirsi in un paese diverso da quello d’origine comporta a priori una scelta, non sempre ponderata e consapevole, perché le motivazioni sono varie da individuo. Cambiare presuppone l’apertura verso nuove esperienze, la capacità di affrontare nuove sfide, in poche parole un atteggiamento e una mentalità positivi. Nella maggior parte dei casi, infatti, chi sceglie di “espatriare” lo fa per realizzare i propri progetti, per lo più di carattere professionale, e quindi non si lascia abbattere alle prime difficoltà. La soddisfazione di vedere concretizzati i propri obiettivi, supera di gran lunga i disagi e gli svantaggi che incontriamo.

All’inizio, diciamo la verità, siamo tutti piuttosto disorientati. Perché entrano in gioco le nostre emozioni, che spesso prevalgono sulla parte razionale o comunque la influenzano. Cosa succede, quali sensazioni proviamo? Provare tristezza, avere disturbi d’ansia, inappetenza o senso di inadeguatezza ai nuovi contesti, è piuttosto frequente e assai diffuso. Si tratta di una fase comune a tutti gli expat, specialmente nei primi mesi, e si manifesta, talvolta, con fenomeni acuti come nervosismo, insonnia, senso di grande solitudine.

Questo perché vengono a mancare quei punti di riferimento, soprattutto culturali, per cui rischiamo di leggere fatti e persone con una lente sfocata o distorta. E’ normale, non facciamoci intimorire da quelle che sono “le nostre difese” messe in gioco prima di trovare il giusto adattamento.

Vivere in un paese straniero significa abbandonare le proprie certezze, e accettare ciò che è estraneo (contesto, persone, situazioni).  Allora come possiamo interagire?

  • Il nostro consiglio è quello di non isolarsi, specialmente all’arrivo, frequentare persone, tessere relazioni, anche e soprattutto fuori dal mondo lavorativo. Piccole cose, come bere un caffè insieme, dialogare, condividere una cena, diventano estremamente importanti per inserirsi nel contesto sociale.
  • Impariamo la lingua, sia frequentando una scuola o corsi specifici, sforzandoci di apprendere frasi o locuzioni comuni, per entrare maggiormente in sintonia con i locali. Ma anche il codice gestuale, che all’estero è decifrato con modalità molto diverse da quelle italiane.
  • Invitiamo o facciamoci invitare in situazioni di svago comuni, una festa, un compleanno, una partita, al cinema.
  • Definiamo gli obiettivi, a breve, medio e lungo termine, mettendoli per iscritto su un foglio; è importante leggerli e rileggerli nel corso della nostra permanenza, per apportare eventuali modifiche.
  • Non cadiamo nella trappola di lamentarci, e di perpetuare la situazione di malessere, perché questo rinforza la convinzione che nulla sia cambiato, peggio ancora ci rende aggressivi e frustrati.
  • Il senso di incertezza verso il futuro si attutisce pianificando la nostra esperienza con mesi di anticipo, e non facendoci trovare impreparati, La gestione burocratica (documenti, permessi, visti, curricula) deve essere seguita con attenzione e cura. Più andiamo all’estero preparati, più saremo capaci di reagire agli imprevisti e alle difficoltà.

Per concludere, il processo studiato e definito “shock culturale” è un passaggio obbligato per tutti coloro che si trasferiscono all’estero, una sorta di elaborazione del lutto: lasciare tutto ciò che è conosciuto, per scoprire un mondo nuovo, che affascina, ma anche spaventa. Si tratta di un viaggio fisico e metaforico, alla ricerca di nuovi spazi, di nuove prospettive, di migliori opportunità. Un’ottima carta per essere curiosi e stimolare la conoscenza del paese straniero, rafforzando la decisione di dare una svolta alla propria vita, personale e professionale.

 

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